Capitano anche queste giornate.
E’ estate e sei in una città che non è la tua. Zampetta e la mamma sono lontate. Non ci pensi, esci dall’albergo al mattino presto perchè ti piace entrare presto al lavoro.
Fa già caldo, per strada c’è traffico e rumore. Vai in metropolitana insieme a altre migliaia di persone. E ti piace anche essere parte del “meccanismo”.
Lavori, vedi i colleghi. Come sempre. Ti impegni, testa bassa, un caffè, un panino per pranzo. Telefonate, favori, sorrisi.
Alle 3 senti un rumore…”crack“… si è rotto qualcosa. Fermi le mani che andavano da sole sulla tastiera del pc, non rispondi al telefono. Ti fermi e ascolti. Non c’è nulla. Non ti importa del lavoro che stai facendo, dei discorsi che hai intorno. Senti un vuoto. Cosa ci faccio qui?
Ci sono ancora due ora prima di uscire, non riesco a combinare niente, ho difficoltà a dire anche solo due parole all’amico che viene a trovarmi.
Esco dall’ufficio. E’ metà pomeriggio e non ho nessuna motivazione per fare niente. Camminare, per andare dove? Sono solo qui. Mi sento invisibile e guardo le persone che mi passano accanto, che prendono la metropolitana. Quanta gente strana!
Vado verso il centro. Fa caldo. E’ lo stesso.
Via Vitruvio. Kebab, gelaterie cinesi, prostitute, barbieri nordafricani, tutto a 50 centesimi, hotel di infima categoria.
Corso Buenos Aires. Traffico, africani che vendono merce contraffatta sul marciapiede, una folla variegata, ondate di aria condizionata che ti assalgono dalle porte aperte dei negozi.
Potrei rimepire il mio vuoto mettendo alla prova la carta di credito. Ma è veramente un brutto periodo. Niente soldi, niente spese pazze. Budget ridotto al minimo.
Provo a risalire la china. Vado in una gelateria. Ci sono le granite. Menta no, mandorla no, caffè no. AMARENA, bleah. SI.
E’ orribille ma a volte gli shock funzionano. Continuo a passeggiare e ruminare. Entro da Muji che di solito aiuta a distrarti ma niente. Anzi mi peggiora l’umore vedere i finti saldi con le cose che costano davvero troppo.
La passeggiata continua ma vedo solo negozi di marca che vendono prodotti che non mi interessano. E allora, allora non resta che l’arma finale: andiamo in libreria.
Feltrinelli mi accoglie sempre ed io ci sto sempre bene. Non so, forse c’è anche qualcosa di primordiale, di ancestrale, sedimentato. Dalla mia prima visita alla Feltrinelli di Pisa (quanti anni fa?): praticamente un salto mortale per chi come me veniva dalla piccola provincia e aveva frequentato come unica libreria un posto che si chiamava (e si chiama) Mondoperaio e comunque sapeva di potersi trovare bene.
E insomma, giro fra i familiari scaffali e faccio muovere gli occhi con la consumata esperienza di frequesntatore abituale: le novità, gli economici, gli sconti estivi, le guide di viaggio. Mi fermo. Lascio andare un attimo la mente. Penso ai colleghi che l’altro giorno hanno prenotato seduta stante un aereo per Barcellona per farsi un week end. Penso che mi piacerebbe andare con loro. Penso che non posso farlo, che c’è una zampetta che mi aspetta, che sono diventato grande (ma io sono sempre stato grande!), che ho delle responsabilità.
Zampetta, ci andiamo insieme, vedrai, ti piacerà Barcellona!
Continuo il giro. Non esiste che esca da lì senza libri. Ma sono già pentito: ne ho troppi da leggere, mi impegno, leggo tanto, ma loro sono sempre di più!
Decido di moderami e alla fine vengono via in 3:
– Paul Murray, Skippy muore. Secondo volume di una collana (bellissima) che ho cominciato la settimana scorsa
– Scarlett Thomas, L’isola dei segreti. Vado avanti a leggere i libri di Scarlett Thomas. Secondo me non sono per niente facili da leggere ma lei è bravissima.
– Gianrico Carofiglio, Né qui né altrove. Per rileggere Carofiglio…
Esco e decido: torno in albergo e passo la serata a leggere. Prima però dovrei mangiare qualcosa. Ok, continuiamo sulla strada della redenzione. Vado da McDonald’s, prendo un menu e un milkshake alla fragola, scendo in un angolino appartato e con l’aria condizionata, col fatto che è presto e non c’è nessuno, forse con un po’ di energia dal cibo, mi comincio a sentire meglio. Prendo il libro più piccolo (Carofiglio) e comincio a leggerlo.
E’ melanconico. Neanche a farlo apposta. Parla dei vecchi tempi. Vecchi amici che si incontrano e fanno tornare i ricordi a galla. L’università. E io che facevo all’università? Che ricordi ho? Nell’aria una struggente versione di My way cantata da una voce femminile, roca quanto basta. Mi risveglio. Ma che è? Vi siete messi tutti d’accordo?
Leggo un paio di capitoli, finisco il milkshake e salgo in camera. Mi prudono i polpastrelli. E’ tanto tempo che non scrivo. Devo lasciare correre il flusso che esce fuori. Questo è il posto che ho scelto.
Fuori c’è Milano, davanti a me il Pirelli, sempre bellissimo, a destra la stazione, monumentale, sotto piazza Duca d’Aosta, geometrica e trafficata. I tram passano sferraglianti e fuori dal tempo. Io sono sempre io. La vita va avanti. Ho una bellissima sera di lettura davanti a me.